Nel 2007 l’Antitrust vietò la pubblicazione dei listini prezzi delle Compagnie petrolifere, perché erano ritenuti uno strumento per far “cartello”, uniformando i prezzi a detrimento degli utenti. Ciò avrebbe, secondo l’authority, favorito una concorrenza proattiva ed in ultima analisi a rendere il prezzo più competitivo a favore dell’automobilista.
“Nascondere” i listini, dicemmo allora, non significava combattere la speculazione o la collusione verso l’alto dei prezzi perché finiva per occultare le dinamiche reali della formazione dei prezzi, fornendo al consumatore solo un “numero” finale, un prezzo cioè, o un altro su cui orientarsi.
Un tanto facendosi, cioè, si toglieva al consumatore la coscienza dei fattori che volta per volta possono contribuire a formare un prezzo, qualunque esso fosse, dalla parte fiscale, alle dinamiche internazionali sulle materie prime e sui prodotti raffinati e giù scendendo per i rami, rendendolo semplicemente un soggetto passivo di una grandezza di valore neutra rispetto a cui poteva scegliere il più basso o meno.
Su questo assioma semplicistico – e vagamente autoritario perché supponeva un consumatore del tutto ignorante dei fatti importanti e solo sensibile alla convenienza (ove ci fosse stata) – il settore venne aperto progressivamente come una scatola di sardine e sulla rete approdarono soggetti nuovi indipendenti, ma anche “magliari”, i quali spingevano i prezzi in basso semplicemente perché compravano lo stesso prodotto dalle stesse compagnie che lo vendevano ad un prezzo più alto (sia per ragioni giustificabili che non giustificabili) nella propria rete rispetto all’extrarete.
La parola d’ordine, su cui sono nati sarchiaponi come l’Osservatorio Prezzi per non parlare della pletora di app private per conoscere il prezzo, era, appunto, fornire il prezzo più basso.
Nel tempo si è scoperto che la grande liberalizzazione in nome del consumatore aveva importato nel sistema non solo “magliari” ma anche faccendoni che non hanno esitato a ricorrere a tecniche sempre più raffinate di elusione ed evasione di imposte sui carburanti, favorendo la comparsa dei traders più spregiudicati.
Oggi, invece, dopo il ripristino (o l’aumento, se piace di più così) delle accise dopo la pausa del periodo marzo-ottobre-novembre, si sta affermando una logica secondo cui – per carità, sempre a tutela del consumatore – il sistema dei prezzi va de-liberalizzato e si deve tornare, se non al prezzo amministrato, che ha qualche serio dubbio di legittimità alla luce delle norme proconcorrenziali dello Stato e dell’Unione, ad un meccanismo arzigogolato e burocratizzato per sterilizzare la varietà dei prezzi, la cui diversità è diventata la spia della speculazione per chi non ha memoria di quanto accaduto negli ultimi quasi trent’anni.
Sia ben chiaro: anche qui il consumatore è un soggetto al quale non si deve turbare la mente con la trasparenza dei fattori che determinano il prezzo, ma solo offrire un prezzo apparentemente uniforme o lì attorno.
Allora la speculazione diventa la differenza in più che si trova all’isola di Vulcano (450 abitanti!) o persino sull’isola di Montecristo (se mai si potesse andare a far benzina in quel sito), e non, ad esempio, le speculazioni internazionali che si attuano sui mercati finanziari di carta dei futures del greggio o dei raffinati, né, a voler essere cattivi, sul fatto che forse non è sempre credibile che le aziende che estraggono, raffinano e vendono carburanti paghino il prodotto alla quotazione del Platt’s del mercato Mediterraneo o di Rotterdam, quotazione che viene sempre addotta per fare la composizione del prezzo al pubblico o i prezzi di vendita agli impianti dello stesso marchio od a quelli indipendenti, e, alla fin fine neppure “quante tasse” siano incorporate nel prezzo. Il must è ora diventato “prezzo un po’ più alto del medio = speculazione” e tanti saluti se il prezzo più basso significativamente vuol dire acquisto in evasione di IVA o di accisa e turbativa di mercato.
Come si vede sempre grezze semplificazioni e ragioni mediatiche, non sostanziali.
Così, mentre non si cerca o si tralascia la grande speculazione (certo non tutte le speculazioni si possono combattere, si vedano le vicende di gas ed elettricità sui mercati europei), anche quella forse rintracciabile più da vicino senza andare in Olanda o alla Nymex, si va a cercare la modesta speculazione in fondo alla filiera, anzi, diciamo di più, si va a cercare proprio da chi penzola, letteralmente, in fondo alla “catena alimentare” della filiera, ossia dal soggetto che non gioca coi futures e neppure col Platt’s e che, pur comprando una merce e rivendendola, non può (non può proprio, non è un’esagerazione!) decidere né a quanto la compra né persino a quanto può venderla.
E se i detectives si accontentano della piccola speculazione, in questo caso, come di dice a Roma, “la andassero” a cercare dai “veri” soggetti che stabiliscono tutta la filiera dei prezzi…..
L’articolo CERCANDO LA SPECULAZIONE DOVE (NON) C’È proviene da FIGISC – Federazione Italiana Gestori Impianti Stradali Carburanti.