Continua la pressione sui fondamentali di mercato che determinano i prezzi dei carburanti ed al momento non è dato di individuare quando potrà allentarsi.
Si dia, anzitutto, un’occhiata ai numeri del 2023 cominciando dal greggio: le quotazioni vanno da un massimo 79,96 euro/barile (87,33 dollari) del 12 aprile ad un minimo di 65,47 (72,50) del 4 maggio; le quotazioni di venerdì 27 luglio sono di 77,19 euro/barile (84,99 dollari).
Per i raffinati, per la benzina si registra un massimo di 0,657 euro/litro il 12 aprile ed un minimo pari a 0,514 il 3 maggio, il 26 luglio si è eguagliato il precedente massimo, ancora con 0,657 euro/litro; per il gasolio si segnala un massimo di 0,794 euro/litro il 23 gennaio ed un minimo di 0,493 ancora il 3 maggio, il dato per il 26 luglio è di 0,663, ma venerdì 27 il mercato segnala un ulteriore aumento nell’ordine di +0,020 euro/litro, portando questo prodotto al valore massimo dall’inizio anno.
Per i prezzi alla pompa, per la benzina il minimo in modalità self si è registrato il 17 maggio con 1,812 euro/litro ed il massimo il 26 luglio, pari a 1,895, in modalità servito si va da un minimo di 1,963 in data 19 maggio al massimo, ancora del 26 luglio, con 2,040 euro/litro. Diversa la dinamica marcata dal gasolio: in modalità self il massimo si registra il 30 gennaio, con 1,923 euro/litro ed il minimo alla data del 18 maggio, con 1,657, mentre al 26 luglio il livello è di 1,743; in modalità servito il massimo è ancora segnalato il 30 gennaio ed anche il minimo cade il 18 maggio, pari a 1,811, mentre il 26 di luglio il livello sale a 1,892 euro/litro.
Restringendo il periodo di osservazione premendo lo start del contatore da quando i prezzi alla pompa hanno toccato il minimo e poi hanno cominciato gradatamente a salire, ossia dal 17 maggio al 26 luglio, registriamo che il greggio sale da 71,07 a 77,19 euro/barile (da 76,96 fino a 84,99 in dollari), con un cambio leggermente più favorevole e quindi con un marginale risparmio.
Le quotazioni dei prodotti raffinati salgono per la benzina da 0,560 a 0,663 euro/litro, con un salto di 0,103 euro/litro (=0,115 con IVA), crescono per il gasolio da 0,550 a 0,657 euro/litro, ossia con un incremento analogo a quello della benzina e pari a 0,107 euro/litro (=0,120 con IVA).
Sempre dal 17 maggio al 26 luglio, i prezzi alla pompa sono cresciuti così: benzina in modalità self, da 1,812 a 1,895 euro/litro, con aumento di +0,083, in modalità servito, da 1,963 a 2,040 euro/litro, con incremento pari a +0,077; gasolio in modalità self, da 1,656 a 1,743 euro/litro, con crescita di +0,087, in modalità servito, da 1,811 a 1,892 euro/litro, con incremento pari a +0,081.
A fronte di aumenti nelle quotazioni internazionali Mediterraneo dei raffinati di +0,115 e +0,120 euro/litro a seconda dei prodotti, gli incrementi alla pompa oscillano tra +0,077 e +0,087, ossia in misura minore di 3-4 centesimi/litro. Non v’è tuttavia dubbio che negli immediati prossimi giorni si vada verso un allineamento più coerente tra variazioni delle quotazioni e variazioni del prezzo finale.
Le motivazioni del trend in pressione sulle quotazioni, se si vuole prestare attenzione alle cose serie – piuttosto che alle consuete teorie cospirative evergreen, tipo “arrivano le vacanze, si aumenta speculativamente il prezzo”, nonché all’infinita spazzatura proposta ogni giorno sugli smartphone da testate di blogger che definire inqualificabili è un eufemismo -, consistono, come spiegava giorni fa alla STAFFETTA (e che riprendiamo nuovamente dopo averle citate il 25 luglio), Salvatore CAROLLO, nel fatto che «La domanda ha raggiunto il livello di 102 milioni di barili/giorno, soprattutto per la spinta proveniente dai mercati asiatici. Il 70% di questi aumenti sono attribuiti alla Cina ed il resto diviso fra India e gli atri paesi della regione. La capacità di raffinazione operativa effettivamente utilizzata nello stesso periodo di tempo è stata pari a 82 milioni di barili/giorno, ovvero 20 milioni di barili/giorno al di sotto del livello della domanda. Il che vuol dire che parte della produzione di petrolio greggio prodotta nei campi petroliferi non è stata trasformata in tempo reale in prodotti finiti richiesti dai mercati al consumo ed è finita in parte ad aumentare il livello delle scorte viaggianti (su nave) e a terra».
Da segnalare, inoltre, ciò che Alberto Clò enuncia su ENERGIA: «Dopo i tagli dello scorso ottobre, in aprile la cosiddetta Opec+ (insieme dei paesi Opec e dei loro alleati, ad iniziare dalla Russia) ha deciso di ridurre ulteriormente la sua produzione di petrolio portando il taglio cumulato da novembre ad oggi a 3,66 mil.bbl/g (pari a poco meno del 4% della domanda mondiale) da applicarsi sino almeno alla fine del 2024. All’inizio di giugno l’Arabia Saudita ha deciso unilateralmente un altro taglio di 1 mil.bbl/g, almeno per i mesi di luglio e agosto. In totale quindi meno 4,66 mil.bbl/g. Vale ricordare che Opec+ contribuisce per il 40% alla complessiva produzione mondiale di petrolio, ma per un percentuale molto maggiore al suo commercio internazionale. Ogni barile prodotto in meno si traduce di conseguenza grosso modo in due barili scambiati in meno sul mercato internazionale, quel che conta nel definire i prezzi che vi si praticano … I tagli alla produzione hanno causato un loro aumento di circa il 10% oltre la soglia da metà luglio degli 80 dollari al barile, quel che non avveniva da fine aprile … Da un lato, la crescita della domanda che l’Agenzia di Parigi proietta nel quarto trimestre a 104,5 milioni di barile al giorno (rispetto ai 100 prima della pandemia) cui si contrappone il taglio dell’offerta decisa dai paesi Opec. Da qui una condivisa aspettativa che nel secondo semestre si possa registrare un consistente deficit di offerta con balzo dei prezzi … Se verranno confermati i tagli della produzione e la domanda consoliderà la sua crescita, nonostante i mille scenari che preconizzano il de profundis del petrolio, i suoi i prezzi potrebbero risalire verso i 100 dollari al barile, alimentati a quel punto anche da una speculazione sempre in agguato.»
A proposito di “speculazione”, ci permettiamo di citare – contestualizzando i passaggi salienti per dare omogeneità al ragionamento – dalle conclusioni dell’Indagine conoscitiva IC54 dell’AGCM pubblicate il 7 luglio:
«Le tensioni di prezzo registrate dal 2022 in avanti sono da ricondursi in via preminente a eventi eccezionali di tipo internazionale, rispetto ai quali la possibilità di efficaci interventi antitrust è giuridicamente difficile da configurare, tantomeno a livello nazionale …
Anche al netto degli eventi eccezionali sopra richiamati, le dinamiche relative alle fasi più a monte della filiera petrolifera, in particolare quella estrattiva da cui dipende la disponibilità di materia prima, risultano storicamente condizionate da elementi non riconducibili alla libera concorrenza e difficilmente contrastabili mediante l’enforcement delle norme antitrust: in particolare, come rappresentato anche dalla commissaria UE alla concorrenza, la normativa in materia d’intese non è applicabile al cartello OPEC né alla sua versione allargata OPEC+, in quanto si tratta di condotte riconducibili a Stati sovrani …
Per quanto riguarda la componente industriale, l’Indagine ha evidenziato come il fattore che ha maggiormente influenzato l’eccezionale dinamica dei prezzi sia stato il Platts, la quotazione internazionale di riferimento per i prodotti raffinati, benzina e gasolio per autotrazione; a loro volta le quotazioni dei prodotti raffinati sono state influenzate dall’andamento anomalo del Brent, l’indice di riferimento in Europa per le quotazioni del greggio e una delle principali determinanti del Platts. Con riferimento ai benchmark internazionali dei prodotti petroliferi, e in particolare al Platts, si rileva come questi siano esposti a rischi di opacità, come dimostrano, da un lato, procedimenti per sospette manipolazioni conclusi in passato in giurisdizioni extra-UE, dall’altro l’adozione di apposite linee guida da parte dell’Organizzazione Internazionale delle Autorità di Vigilanza sulle Borse (IO-SCO) …
In tale scenario geopolitico e macroeconomico va collocato l’andamento dei prezzi dei carburanti in Italia.»
Ma se una questione complessa come questa (i mercati di carta che scommettono sui futures del greggio, dei raffinati e persino sul crack spread – la differenza tra greggio e raffinato -, i cartelli dei produttori per sostenere i prezzi, ecc.) finisce per essere ridotta, come accaduto a gennaio, ad una caccia alla speculazione, ad esempio, ai prezzi nell’Isola della Maddalena (si ricordino le notizie di allora!) ed il rimedio sarebbe quello dell’invenzione del “prezzo medio”, rassegniamoci pure: non sarà certo il “cartellone” (che qualche organo di stampa, per non far nomi, addirittura La Repubblica, definisce “antiaumento”!) a salvarci…
L’articolo TENSIONI SUI PREZZI, MA NON È IL “CARTELLO” CHE CI SALVERÀ proviene da FIGISC – Federazione Italiana Gestori Impianti Stradali Carburanti.